La conoscete la storia del popolo Sahrawi? Ve la raccontiamo in 3 bicchieri

 Acireale, città barocca dalle cento campane, ma non solo: Sara Scudero ci racconta una buona notizia di accoglienza, difesa dei diritti e tè condivisi

 


Saverio Di Mauro e Salvo Ilie


L’esperienza in un’aula del nostro liceo, il “Liceo Archimede” di Acireale, mercoledì 24 aprile è stata trascendentale: appena arrivati si poteva percepire un odore molto intenso e piacevole di menta, zucchero e tè. Abbiamo avuto il piacere di ascoltare Sara Scudero di "Mi casa es tu casa", un progetto che si dedica all’accoglienza estiva nel territorio acese di un gruppo sahrawi costituito da 10 bambini e dai loro 2 accompagnatori. Tre bicchieri per tre tè – come da tradizione nelle abitazioni sahrawi – ognuno di essi rappresentativo di una parte diversa della vita di questo popolo.

Il primo bicchiere. Il primo, pungente e forte, sia al sapore che all’odore simboleggia in modo forse per noi bizzarro il loro modo di vivere la vita: amaro. Difficile da mandare giù, e per alcuni troppo forte e doloroso da poter accettare. Una realtà che nella memoria recente accompagna tristemente l’esistenza di questo popolo. Ma qual è questa realtà di cui parliamo?

La storia. Il popolo Saharawi è protagonista di una storia di diritti negati che va avanti dal 1975 quando, con la decolonizzazione spagnola, il Marocco rivendica i suoi territori, ricchi di risorse naturali e pescosi: caccia quindi i sahrawi e costruisce un muro di sabbia e cemento. Da allora i sahrawi sono costretti a vivere in esilio nel deserto dell’Algeria, subendo una violenza sistematica resa evidente dalla presenza capillare di mine antiuomo che provocano morti e feriti. Così, il loro destino sembra confinato tra le tende dei campi di rifugiati, dove abitano oltre 170mila persone. Una situazione che negli ultimi anni non fa che peggiorare.

Il rito continua. Ma anche nella tristezza più assoluta, come quella di questo popolo, la dolcezza, come quella del secondo bicchiere, viene dall’amore, appunto «dolce come l’amore». L’amore dei cari, di chi ci sta vicino, e nel caso dei bambini sahrawi quello che viene generosamente offerto da “Mi Casa Es Tu Casa”. Dolcezza che noi possiamo percepire grazie alle testimonianze di Sara, che ci ha dipinto immagini di bambini sorpresi e stupiti dalla realtà che noi diamo per scontato, come la vista del mare. L’ultimo bicchiere, ci spiega Sara, è «soave come la morte», simboleggiata da un sorso dolce e accogliente. Ci racconta anche un suo episodio durante un viaggio ai campi profughi quando venne invitata a conoscere una persona che stava per morire: se nella nostra cultura morte e malattia sono visti come ostacoli di cui vergognarsi, i sahrawi ci insegnano invece ad apprezzarne il valore che celano tutte le fasi della vita.

La buona notizia. Concluso il rito del tè, ci rendiamo conto di quanto sia importante e pieno di speranza l’obiettivo di progetti come questo di “Mi Casa Es Tu Casa”. Dare un futuro e un presente più speranzoso a chi più lo merita. Come ci è stata presentata la gioia dei bambini che vengono in estate qui nelle terre siciliane ha a dir poco mosso i nostri animi: essere in grado di poter fornire loro un periodo nella nostra realtà, permettere loro di fare le adeguate visite mediche e di far conoscere la loro storia in modo da spingere i politici a lottare per un referendum è bellissimo ma è anche amaro, un po’ come il tè che ci è stato offerto. Speriamo pienamente che questa organizzazione, insieme a questo articolo e al lavoro dei tanti volontari di “Mi Casa Es Tu Casa” come Sara, possa dare un futuro migliore a questo popolo.

 

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