"Porto Speranza": sulle coste di Acireale l’iniziativa in ricordo della tragedia di Cutro

A un mese dal naufragio, il Coordinamento Acireale per la Pace ripercorre il dramma di tante vite morte in mare con un corteo sulla riva del porticciolo di Santa Maria La Scala. 


Estefany Fernandes Diogenes



Un fiore per chi non ha trovato un porto accogliente. Un fiore per ogni speranza naufragata. Un fiore per ogni speranza ancora possibile. Questo il senso dell'iniziativa "Porto Speranza" organizzata dal Coordinamento Acireale per la Pace nei locali della parrocchia di S. Maria La Scala ad Acireale (CT), a un mese dalla tragedia di Cutro dove sono morte oltre 90 persone nel tentativo di dare loro vita una speranza. 

Ad aprire la serata i versi, quanto mai significativi, del brano “La notte più lunga” di Carmen Consoli: «Verso l'alba avvistammo quella barca malandata, tracimante di persone che agitavano le braccia. Un carico di tragica speranza, di vite inscatolate senza alcuna etichetta». Quel che si dimentica, infatti, nel trattare queste tragedie è che non riguardano semplicemente migranti ma uomini, donne e bambini con sogni, affetti e legami, spezzati da violenze e ingiustizie. A tal proposito un momento di riflessione è stato offerto dalla visione dello spettacolo “I colori del viaggio: il mio nome è Bahar”, tenutosi al teatro Bellini di Catania, scritto da Pippo Scudero e realizzato dalla compagnia teatrale della Comunità Papa Giovanni XXIII, compagnia che nasce sul principio dell'inclusione, come ci spiega Laura Lubatti, dirigente della stessa comunità. Attraverso il teatro-danza il vitale cast – composto da ragazzi con disabilità, giovani ex-tossicodipendenti, ex-carcerati, bambini e adolescenti in situazioni difficili – racconta la fuga dalle guerre di migliaia, milioni di migranti ogni anno nel mondo. 

Fa seguito la viva testimonianza di Sinaj che, davanti a un pubblico ammutolito, racconta la sua storia, una storia intrisa di fame, sete, paura, morte, carceri e torture. «In Afghanistan, nel mio paese, non c'è nessun tipo di libertà. Voi siete nati in un paese libero e ora io posso andare a scuola, lavorare e parlare perché sono qui». Sinaj non smette di dire «grazie» e nel suo discorso risuona frequente la frase «non lo dimenticherò mai». Non dimenticherà mai il dolore di una madre che tiene tra le proprie braccia il suo bambino e porge l'altra mano al marito, il quale la stringe forte e così i loro corpi galleggiano nell'acqua; non dimenticherà mai l’agonia di una ragazza che per respirare si scosta il velo dalla bocca perché «non importa quello che abbiamo in testa ma quello che abbiamo nel cuore, Dio sa»; non dimenticherà mai quel bicchiere di tè e quel tozzo di pane offerto da un uomo ad Istanbul prima del suo rimpatrio forzato, dopo che era giunto in Turchia dall'Afghanistan a seguito di un lungo e faticoso viaggio in mare. 

«L’immigrazione è un problema strutturale»: prende così la parola Hajari Rida, un giovane migrante di seconda generazione, membro della Comunità Islamica di Acireale. «Dietro a tanti morti c'è un interesse economico. Ci dimentichiamo che siamo tutti persone». Con questa denuncia, che rimbomba nel cuore dei presenti, ci avviamo in corteo sulla riva del porticciolo con dei fiori in mano che affidiamo alla risacca del mare. Nella spiaggetta viene posta una croce realizzata dai falegnami della Cooperativa Sociale "Ro' La Formichina" con il legno delle imbarcazioni dei naufragi di Lampedusa. L’aria profuma di gelsomino e ci fa sperare che una rinascita è sempre possibile. Crollano tutti i confini religiosi e si percepisce l'universalità dell'essere semplicemente umani. Hajari Rida prega in arabo; Don Orazio Tornabene, direttore Caritas diocesana di Acireale, e Don Francesco Mazzoli – parroco di S. Maria La Scala e cappellano del carcere minorile di Acireale – intonano il padre nostro: pregano tutti, ognuno secondo la propria fede. «Sono musulmano, cristiano e ortodosso»: Don Francesco alza le mani verso il cielo e guarda poi il mare, le campane nel frattempo suonano le 21. La costa di Santa Maria La Scala stringe tutti con le sue onde di speranza. 

«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza»: recita così il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Se sono inalienabili, perché ci permettiamo di negarli? L'iniziativa "Porto speranza" riguarda tutti e coinvolge anche chi è "libero" di scegliere il proprio futuro. Ricordare, riconoscere e dare dignità a quelle vite è un modo per sperare in un futuro migliore.





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