Cosa sono i corridoi umanitari? Una storia dalla Siria all'Italia

 “Santa Venerina abbraccia la Siria”, si chiama così il progetto di accoglienza a favore di profughi siriani giunti in Italia attraverso un corridoio umanitario. Ce lo spiega Michela Lovato, volontaria di Operazione Colomba, che ha incontrato gli studenti e le studentesse del Liceo “Archimede” di Acireale



Di Lorenzo Rapisarda

«Lasciare il proprio paese per ragioni di vulnerabilità, come guerra e povertà, è praticamente impossibile senza un visto da presentare ad ogni frontiera. Per fortuna esistono i corridoi umanitari, programmi di trasferimento e di integrazione in Italia, che aiutano queste persone ad ottenere dei visti per transitare nei territori stranieri in cerca di protezione, un'alternativa sicura e legale ai viaggi della disperazione». Con queste parole Michela Lovato - esperta in scienze della pace, cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti - ha presentato il progetto dei corridoi umanitari agli studenti e alle studentesse del Liceo Archimede di Acireale, lo scorso 19 marzo, nell'ambito di un Seminario di Educazione alla pace e alla mondialità. 

Una risposta a politiche contraddittorie. I corridoi umanitari sono la risposta alle contraddizioni delle attuali politiche migratorie rispetto alla tutela dei diritti umani. Il progetto si realizza grazie ad un accordo tra il Ministero degli Interni italiano e Enti no profit che si impegnano a garantire per richiedenti asilo affinché ottengano il visto per entrare in Italia e ricevere la protezione umanitaria di cui hanno diritto, non solo bisogno. L'accordo prevede che del viaggio e dell'accoglienza dei profughi si occupino gli Enti privati, in modo da non gravare sulle casse dello Stato che pure ha il dovere - in virtù delle Convenzioni di Ginevra, nonché dell'art. 10 della Costituzione - di garantire protezione ai richiedenti il diritto d'asilo. Michela Lovato ha iniziato a collaborare al progetto dei corridoi umanitari come volontaria per Operazione Colomba, il corpo civile di pace della comunità Papa Giovanni XXIII, in collaborazione con la Comunità di Sant'Egidio ed altri Enti presenti in Libano presso i campi che ospitano profughi siriani. Ed è proprio lei a spiegarci perché è importante questa tipologia di progetto.

Una possibilità concreta di riscatto. «Una persona che scappa dalla Siria per salvarsi dalla guerra, una guerra ormai lunga dodici anni - ci spiega - e raggiungere l'Europa non ha altro modo che affidarsi ai trafficanti di esseri umani lungo la rotta balcanica che è molto costosa e violenta per via di una politica dei confini chiusi. Più i controlli aumentano, più i trafficanti hanno bisogno di soldi per far passare la gente; più cresce la criminalizzazione dei migranti lungo le frontiere, più si inaspriscono le politiche di controllo e di chiusura, in una escalation di violenza e di disperazione inimmaginabili». Per questo motivo la maggior parte dei profughi siriani, dal 2011, si è rifugiata in Libano, paese confinante e molto piccolo, affaticato da conflitti sia interni che esterni, che si è trovato a dover affrontare, in pochi anni, la presenza di circa due milioni di profughi che corrispondono, pressoché, al cinquanta per cento della popolazione complessiva. I siriani sono arrivati in Libano con l'idea di tornare presto a casa, perché all'inizio si pensava che la guerra sarebbe finita velocemente. E invece poi la guerra si è prolungata e questa situazione di attesa è diventata insostenibile. Il Libano tra l'altro è fra quei paesi che non hanno firmato la Convenzione di Ginevra e pertanto non ha obblighi nei confronti dei richiedenti asilo, così dal 2019 ha attuato pratiche di respingimento sia nei confronti dei profughi siriani sia dei palestinesi, anch'essi vittime dei conflitti che da decenni imperversano in Medio Oriente. A contrasto di queste pratiche e per dare alle persone che scappano dalla guerra una possibilità di riscatto ci sono i corridoi umanitari. «In Libano - ci racconta ancora Michela - la Sant'Egidio si occupava di selezionare le famiglie che potevano essere inserite nei corridoi umanitari, e di chiedere a noi volontari dei corpi di pace di accompagnarle presso l'Ambasciata Italiana di Beirut, la capitale del Libano, che ha il compito di decidere se concedere a queste persone il visto e cioè la possibilità di entrare in Italia o meno. Solo una volta ottenuto il visto si poteva avviare la procedura per partire».


Un progetto per la comunità. Facendo questo lavoro la Lovato si è resa conto che, sebbene i visti concessi siano in numero di gran lunga inferiore alle reali richieste, i corridoi umanitari potrebbero funzionare meglio se ci fossero più gruppi in Italia disposti a farsi carico dell'accoglienza. Da qui - una volta tornata a casa - ha deciso di avviare il progetto "Santa Venerina abbraccia la Siria" realizzato nel 2020 grazie alla collaborazione tra la Comunità di Sant'Egidio, Chiesa Valdese, Comunità Papa Giovanni XXIII e CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e soprattutto - come non manca di sottolineare - grazie alla buona volontà di un gruppo di persone riunite attorno alla parrocchia di Santa Venerina. «Abbiamo iniziato a incontrarci e a parlare della grave situazione dei siriani in Libano e a chiederci se poteva essere possibile, magari, a Santa Venerina, creare un gruppo di accoglienza». Ed ecco che, dopo un lungo anno di formazione, confrontandosi con altri volontari e volontarie, la comunità di Santa Venerina ha finalmente avviato il progetto chiedendo al Ministero degli Interni il visto per una famiglia siriana. «Accogliere  - continua Michela - non significa solo ottenere i documenti, trovare i soldi e la casa, significa anche creare uno spazio in una comunità, significa accompagnare una famiglia ad entrare in un nuovo paese, in una nuova cultura, in una nuova lingua e soprattutto ad uscire da una condizione di violenza perché era una famiglia che scappava dalla guerra e che ha vissuto per otto anni in un campo profughi per cui si portava dietro molte ferite». 

L'esperienza del piccolo comune alle pendici dell'Etna ci insegna che non bisogna avere particolari risorse, non bisogna essere speciali per accogliere. Basta essere solidali. 


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